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Drazen Petrovic: quel diavolo di Sebenico

Drazen Petrovic nasce a Sebenico (Sibenik in croato), Croazia, il 22 ottobre del 1964. Nato in una famiglia molto dedita alla pallacanestro, suo fratello Aleksandar, detto Aza, è stato professionista e componente della Nazionale jugoslava, inizia a giocare fin da bambino, denotando fin da subito delle doti, soprattutto tecniche, molto marcate. L’avventura nei professionisti di Drazen inizia proprio da Sebenico, infatti a quindici anni entra a far parte, seppur non giocando molto, dello Sibenik, che era stato fondato appena 5 anni prima.

petrovic sibenikA Sibenik, o Sebenico, Drazen ha le chiavi della palestra ed ogni mattina lui si sveglia alle 6 in punto, si prepara, e prima di andare a scuola va in palestra ad allenarsi. Sì perché Drazen Petrovic è un perfezionista, quasi compulsivo, e lui deve allenarsi. Non vuole, deve. Ha bisogno di allenarsi perché semplicemente vuole essere il migliore. Poi va a scuola, ma la sua testa resta comunque in quella palestra. L’anno successivo, a sedici anni, diventa addirittura titolare. Per fare un esempio, a memoria d’uomo, ad imporsi come titolare a soli sedici anni, risultando anche decisivo, in uno sport di squadra è stato Diego Armando Maradona nell’Argentinos Junior.

Nel 1982 Petrovic si afferma definitivamente in patria ed in Europa, conducendo Sibenik alla finale di Coppa Korac, la terza competizione europea per club, che prende il nome da Radivoj Korac, leggenda del basket jugoslavo tragicamente scomparso in un incidente stradale. Il Sibenik, però, non riesce a portare a casa il trofeo nella finale giocata a Padova contro il Limoges. Due anni più tardi Mirko Novosel, allenatore del Cibona Zagabria, campioni nazionali in carica, incarica Aza di convincere il fratello a trasferirsi a Zagabria. La resistenza di Drazen non è dovuta al fatto di dover cambiare città ed abitudini o la paura di passare per quello che gioca grazie al fratello. Tutt’altro. Drazen Petrovic è seguito da molti club, fuori dai confini nazionali. Su tutti i Portland Trail Blazers. Sì, a 20 anni, pur giocando in una squadra non molto grande, Petrovic aveva attratto su di sé le attenzioni degli osservatori NBA. Alla fine, però, le rigide regole sul espatrio vigenti in Jugoslavia lo costringono a rimanere in patria e passa al Cibona Zagabria.

Nell’estate del 1984 gioca le Olimpiadi, della spedizione jugoslava fa parte anche Aza, con la propria Nazionale arriva al terzo posto, dopo esser stati battuti in semifinale dalla Spagna e vincendo con il Canada nella finale per il terzo e quarto posto. In Nazionale, così come aveva fatto con le rappresentative giovanili, si mette in mostra per la grande intesa che ha con un altro grande del basket jugoslavo: Vlade Divac. Con Divac ha un rapporto molto speciale. I due hanno condiviso, in tutti ritiri della Nazionale, la stanza ed hanno sviluppato un’amicizia molto forte. Erano uno l’opposto dell’altro: Drazen era un perfezionista, il primo ad alzarsi la mattina, il primo ad arrivare all’allenamento ed il più concentrato, Vlade, invece, era il burlone del gruppo, l’ultimo ad alzarsi, l’ultimo ad arrivare al campo, ma il primo a voler scherzare. I due si troveranno a meraviglia proprio per questo.

Conclusa l’esperienza olimpica inizia l’avventura al Cibona Zagabria. Con la squadra di Zagabria ha un impatto devastante. Vince quattropetrovic cibona zagabria titoli nazionali, in quattro anni, due Coppe dei Campioni, prima del suo arrivo la squadra, in Europa, ‘vantava’ un record di 10 partite e 0 vittorie, una European Cup e tre coppe nazionali. I titoli individuali si sprecano, la media punti nei quattro anni passati a Zagabria è da brividi: 43,3 punti a partita.

Dopo aver vinto tutto in patria, in Europa e dopo aver incantato tutta il vecchio continente, e non solo, arrivando al terzo posto agli europei di Spagna ’86, decide di lasciare la sua terra natia per trasferirsi proprio in Spagna, dove ad attenderlo c’è il Real Madrid. I ‘blancos’ per garantirsi le prestazioni di quello che ormai è conosciuto come ‘il Mozart dei canestri‘ o ‘il diavolo di Sebenico‘, nonché miglior giocatore europeo, gli offre un contratto da 4 milioni di dollari a stagione. Per il periodo una cifra spaventosa e spropositata.

Prima di trasferirsi nella nuova squadra, però, c’è un nuovo impegno con la Nazionale: le Olimpiadi di Seul. Alle Olimpiadi la Jugoslavia gioca divinamente, e non potrebbe essere altrimenti vista la qualità della rosa a disposizione, ma la corsa all’oro si ferma sul muro sovietico, in finale i ragazzi della ‘generazione d’oro’ non possono far altro che prendere l’argento, con la consapevolezza che un giorno si sarebbero presi una rivincita contro i sovietici. Un mese più tardi la Nazionale jugoslava giocò, in casa, una partita amichevole contro i Boston Celtics di Larry Bird. Tutti i giocatori della rappresentativa jugoslava erano tesi, ma non Petrovic. Petrovic sapeva di essere pronto. Sapeva che avrebbe messo in mostra tutte le sue qualità. Così è stato. Non fu tanto il numero di punti messo a segno ad impressionare, ma i tiri, specialmente da tre, che si è preso ed ha mandato a bersaglio. Ha messo a segno dei tiri che, vedendo l’immagini della partita, uno dice: “No, dai. Non è possibile!“.

Petrovic Real MadridNella sua stagione a Madrid non tradisce le aspettative, anzi. Probabilmente supera anche le fantasie dei tifosi sulle sue prestazioni. Eclatante è la sua serie di cinque partite, tutte e cinque vittoriose, nella quale segna un totale di 207 punti, 41,4 a partita. Con lui il Real non riesce a vincere in campionato, ma porta comunque a casa la Copa del Rey e la Coppa delle Coppe.

A fine stagione succedono due cose molto importanti nella vita di Petrovic: una è la caduta del muro di Berlino, che rivoluzionerà tutto l’est Europa e la Jugoslavia, l’altra è che lui può finalmente andare a Portland, con i quali aveva già firmato nel 1984. Contemporaneamente si rende disponibile al Draft Valde Divac, che essendo europeo non è scelto al primo giro, ma finisce comunque ai Lakers di Magic Johnson.

Nello stesso anno ci sono gli Europei, che si tengono in Jugoslavia e la sconfitta, subita soltanto un anno prima, contro l’Unione Sovietica sembra aver fatto raggiungere un livello di maturazione tale da non poter perdere più. La Jugoslavia vince, a mani basse, la competizione davanti al pubblico di casa. Con il titolo in cassaforte, Drazen parte per Portland, con le valige piene di vestiti e speranze. “In Europa sono il più forte e ho vinto tutto. Non mi interessa continuare a vincere e a collezionare coppe. Cerco altre sfide e voglio dimostrare di poter giocare anche nell’Nba“. Così si è presentato in un’intervista a Sport Illustrated.

Purtroppo le cose non vanno come si aspetta. I Trail Blazers, infatti, hanno ben cinque playmaker in squadra, Drexler, Porter, Ainge, Young e lui, che però non piace al suo coach, che vedeva in lui un giocatore troppo individualista. Petrovic cade in una specie di depressione e per scaricare tutto si allena e passa nottate intere al telefono con Valde Divac, che intanto si sta affermando ai Lakers. E’ emblematico quanto raccontato da Danny Ainge: “Un giorno dopo l’allenamento della mattina andai a casa sua, mangiammo e io mi addormentai sul divano. Quando mi svegliai lo vidi sulla cyclette, tutto sudato che pedalava. Gli dissi: ‘Hey! Che fai? Tra un’ora dobbiamo tornare ad allenarci e tu pedali?’ e lui non mi ascoltò neanche”.

Al primo anno di NBA il suo minutaggio medio a partita è di 15 minuti. Lui si sente letteralmente legato e più volte dichiara: “Se giocassi drazen petrovic trail blazersalmeno 20 minuti a partita potrei essere decisivo”. Ma quando un allenatore si fa un’idea su un giocatore è difficile che la cambi. L’avventura con i Trail Blazers, nonostante tutto, va avanti e la compagine di Portland centra subito la finale NBA. Gli avversari di turno sono i Detroit Pistons dei ‘bad boys’, che portano a casa la vittoria, imponendosi per 4-1 nella serie.

Nel 1990 ci sono i Mondiali. Questa volta in Argentina, un’altra occasione per Petrovic, e molti altri suoi compagni jugoslavi, di mettersi in mostra davanti a tutto il mondo. Quella competizione non viene vinta dalla Jugoslavia, viene stra-vinta. In finale contro quel che resta dell’Unione Sovietica è un trionfo. La rivincita è stata presa. Ma al termine della partita accade l’episodio che cambia per sempre il rapporto tra Drazen e Divac.

Prima di raccontarlo, però, vanno fatte delle premesse. La prima è che la competizione si svolse in Argentina, terra che ospitava, come rifugiati politici, tantissimi ‘ustascia‘, ultra-nazionalisti croati molto tendenti al nazismo. La seconda è che Vlade Divac viene da Prijepolije, un piccolo villaggio in Serbia in cui la sua famiglia è praticamente formata dai leader spirituali del villaggio. Detto questo torniamo in Argentina. E’ finita la partita, i giocatori si abbracciano, stringono le mani ai giocatori avversari e, qualche tifoso fa invasione, festosa, di campo. Uno in particolare va davanti a Divac mostrandogli la bandiera croata. Lui lo guarda e gli dice di toglierla poiché la Jugoslavia aveva vinto e non solo la Croazia. Di tutta risposta si sente dire frasi poco carine nei confronti della Jugoslavia, nazione in cui lui credeva fortemente e, qui entra in gioco il carattere petrovic divac mondiali dominante di Divac, gli strappa la bandiera di mano e la getta via. Tutti se ne accorgono e capiscono che il gesto è stato fatto per preservare lo spirito festivo che si era creato all’interno del gruppo jugoslavo. Ma non Petrovic, che viene a saperlo tramite i media croati. E non c’è niente di peggio. Sia serbi che croati, infatti, strumentalizzano il gesto del centro della Nazionale, ognuno a proprio piacimento e Petrovic, che ha un forte senso di appartenenza croato non ricucirà mai il rapporto con il suo grande amico. Più volte Divac cercherà di chiarire il fatto e cercherà anche di farlo attraverso i suoi compagni, ma Drazen non ne vorrà più sapere.

Nel 1991 passa ai Nets, che, nonostante avesse uno scarso minutaggio ai Trai Blazers, intravedano in lui le potenzialità per trascinare la squadra del New Jersey. Con i Nets ha un impatto buonissimo e diventa, quasi subito, l’idolo della tifoseria. Sì, negli USA basta veramente poco per passare dall’essere il ‘signor 15 minuti’ ad essere un idolo. Una volta Vernon Maxwell, che al tempo era la guardia dei Rockets, disse: “Non esiste un giocatore europeo, e bianco, che mi faccia le scarpe”. Queldrazen petrovic nets giorno Petrovic gli rifece tutta la scarpiera, sparandogli in faccia 44 punti, maggior parte dei quali liberandosi della sua marcatura. Nel New Jersey acquisisce una sicurezza tale che pian piano si afferma come una delle stelle NBA, tanto che diventa un problema anche per Michael Jordan, che spesso è costretto a vederlo segnargli in faccia più di 30 punti. Diventa il primo giocatore europeo ad entrare nei migliori 15 giocatori della lega, il secondo non americano dopo un’altra leggenda: Hakeem Olajuwon.

Alle Olimpiadi del 1992 trascina la neonata Croazia alla finale, che verrà poi persa, nonostante la grande prestazione proprio di Petrovic, contro il ‘Dream Team’ americano, che vantava tra gli altri Michael Jordan e Magic Johnson. Molti si stanno ancora chiedendo come sarebbe andata quella partita se il muro di Berlino non fosse mai caduto, certamente non con lo stesso risultato, 85-117, visto che Petrovic fu il miglior marcatore della partita, davanti a Jordan, con 24 punti.

Ormai è una stella affermata e vuole vincere il titolo, ma i Nets sono una squadra con buone potenzialità e poca esperienza per poter raggiungere obbiettivi così prestigiosi e lui decide che a fine stagione, comunque vada, non rinnoverà il contratto per trasferirsi in una squadra che punta al titolo.

A giugno, però, decide di partecipare, nonostante la squadra non ne avesse realmente bisogno, alla partita di qualificazione della Nazionale della Croazia in Polonia. La partita lo vede, ovviamente, come migliore in campo. L’aereo che dalla Polonia deve riportare i giocatori in Croazia, però, deve far scalo a Francoforte. E’ proprio a Francoforte che Drazen ha appuntamento con la fidanzata: Klara Szalantzy – attualmente la moglie dell’ex calciatore tedesco Oliver Bierhoff-. Drazen decide di proseguire il viaggio in auto, probabilmente il suo scopo era quello di arrivare direttamente a Sebenico. I due, in realtà tre, poiché Klara si era fatta accompagnare da un’amica, si mettono in viaggio e dopo qualche kilometro si fermano ad un autogrill. Quando si rimettono in viaggio, però, Drazen è troppo stanco per continuare a guidaree chiede a Klara di prendere il suo posto, addormentandosi sul sedile anteriore della Golf. All’altezza di Denkendorf, l’autostrada fa una salita, superata la quale Klara trova un camion fermo: la ragazza si spaventa e sbaglia il tempo della frenata. E’ un secondo, e Petrovic, che stava dormendo, ha la peggio e muore. Il 7 giugno 1993 se ne va, a 28 anni, il più grande cestista europeo di 

incidente petrovictutti i tempi. Muore proprio come un’altra leggenda del basket balcanico: Korac. Qualcuno racconta che i funzionari tedeschi, addetti al trasporto della salma di Petrovic, non avessero una bara abbastanza grande per trasportare il suo corpo e, così, non trovarono altra soluzione che dissanguarlo completamente per poter ripiegare il corpo su se stesso e farlo entrare in quella che avevano a disposizione. Stojan Vrankovic, 218 centimetri per 118 kili, centro della nazionale croata, ha assistito alla scena ed in preda ad un raptus cercò di uccidere con le sue mani i funzionari tedeschi. Con la stessa delicatezza chiamarono a casa di Drazen dicendo : “Pronto, è casa Petrovic? Suo figlio Drazen è morto”. La madre, che rispose al telefono, riagganciò e corse verso il balcone, la fermò il padre di Drazen, afferrandola un per un braccio. Klara Szalantzy, ovviamente, non si è mai ripresa dall’accaduto. Vlade Divac, invece, quando è accaduto il fattaccio si trovava in vacanza, con la famiglia, alle Hawaii. Rientrò nella sua stanza per vedere una partita in televisione e vide la foto di Petrovic in primo piano, ma in quel momento non capì subito cosa stava succedendo perché in quel periodo il nome di Petrovic era molto citato nelle trasmissioni sportive, visto che si stava per trasferire in una nuova squadra. Quando capì rimase shockato e chiamò la moglie, che era fuori, in lacrime. Quando i compenenti della Croazia andarono a trovare la famiglia, la madre di Drazen abbracciò Dino Rada, un altro degli inseparabili amici del gruppo della Jugoslavia, e urlò, senza lasciarlo un secondo, la sua disperazione per mezz’ora. “La mezz’ora più lunga della mia vita”. Così la definisce Rada. Ai funerali di Petrovic, a Zagabria, parteciparono cento mila persone, la bara fu portata da Toni Kukoc e Dino Rada. Vlade Divac, che avrebbe divac tomba petrovicvoluto fortemente esserci, decise di non andare. In Croazia, con ancora la guerra a fare da sfondo, non sarebbe stato il caso. Tornerà sulla tomba di Drazen qualche anno dopo, quando la situazione si sarà calmata e lascerà sulla tomba dell’amico una foto in cui i due si abbracciano dopo la vittoria dei Mondiali.

Drazen Petrovic, il Mozart dei canestri, è stato il primo apripista per tutti i cestisti non americani, che sognano di giocare nella NBA. Prima di lui c’era stato Hakeem Olajuwon, che però era di fatto un prodotto dei college americani. Come lui anche Divac, ma era completamente diverso: Petrovic giocava al livello dei più grandi di sempre. Chiunque non sia americano, ed oggi gioca in NBA, dovrebbe alzare gli occhi al cielo, allargare un bel sorriso e dire: “Grazie, Drazen!“.

Per Dunk NBA
Shedly Chebbi