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La follia di aprile della NCAA

“D’altronde questa è la NCAA, tutto è possibile”. Focalizzate lì l’attenzione, tenete a mente questa frase, fatela entrare nella vostra testa. Ci siamo lasciati così l’ultima volta. Nessun commento fu più azzeccato di questo. Di solito noi veniamo a conoscenza di fatti e avvenimenti che riguardano il March Madness, la cosiddetta Follia di Marzo, il periodo più caldo della stagione della pallacanestro giovanile negli Stati Uniti, ma pare che questa follia sia perdurata anche oltre i 31 giorni del mese più pazzo dell’anno, nessuno si sarebbe mai aspettato di dover parlare, per forza di cose, di April Madness.

NCAA Final Four 2014

I tifosi dei Gators potranno sicuramente avvalorare la mia tesi. Quegli stessi  Florida Gators che nella guida ufficiosa alla NCAA Final Four 2014 avevamo dato come favoriti. Che poi in finale ci sarebbero potuti arrivare, se solo DeAndre Daniels non fosse sceso sul terreno di gioco. E avrebbero potuto incontrare gli altri favoriti del quartetto, ovvero i Wisconsin Badgers. Anche in questo caso, il condizionale è d’obbligo: perché loro, come Florida, avrebbero potuto prendere parte alla sfida più importante della stagione, quella che ogni atleta affiliato  alla NCAA sogna di poter giocare, se solo non avessero incontrato due guastafeste come Young e Randle. Ma procediamo con ordine, perché è stata una serata davvero intensa.

 

Il ruggito degli Huskies

Dovuta precisazione: in realtà i cani abbaiano, specialmente se si tratta di una razza tanto allegra quanto giocherellona come quella degli husky siberiani. Napier e compagni no, si sono solo travestiti da husky, perché il loro ruggito non solo ha manifestato il carattere predatore come quello di un leone ma ha addirittura intimorito gli alligatori della Florida. Eppure la partita era cominciata nel migliore dei modi per i ragazzi di coach Donovan: Michael Frazier II, Patrick Young e Casey Prather avevano costretto Connecticut a chiamare un time-out dopo 3 minuti di gioco sul punteggio di 0 a 7. Timida reazione con una schiacciata del ghanese Brimah ed un layup di Daniels, ma non basta perché alla girandola di punti si aggiungono anche Scottie Wilbekin e Dorian Finney-Smith, entrambi con un jumper. Ma da quei 16 punti nei primi 10 minuti si passerà ad un black-out interminabile. UConn, presa per mano da Shabazz Napier, DeAndre Daniels ed il tedesco Niels Giffey, rimonterà lo svantaggio e chiuderà la prima frazione sul 25 a 22. Nella ripresa, gli Huskies si affideranno ad una difesa che azione dopo azione si è trasformata in un fortino insormontabile, il vero asso nella manica di Kevin Ollie: negli ultimi 20 minuti, UConn non hanno concesso neanche un tiro agli avversari, i quali con molta difficoltà sono arrivati a canestro. Non a caso, Florida ha concluso la serata con il 38.8% dei tiri riusciti totali, dei quali solo 1 su 10 dalla linea dei 3 punti.

DeAndre Daniels

 

La palma del migliore in campo se l’è conquistata sul campo il big junior DeAndre Daniels, non solo per il suo costante supporto: il centro californiano è stato il primo giocatore ad aver messo a segno una doppia-doppia (20 punti e 10 rimbalzi) in una Final Four dal 2003 ad oggi. Prima di lui, un certo Carmelo Anthony che padroneggiava nei Syracuse Orange. La sfida si conclude sul 63 a 53 per Connecticut, con una prova magistrale anche dell’uomo più atteso, Shabazz Napier (6 assist e 4 turnover per lui). I Gators dal canto loro hanno registrato il minor numero di assist (3) in  una Final Four dal 1984 ad oggi, quando gli assist entrarono a far parte ufficialmente delle statistiche. Ogni pronostico è stato azzerato. E gli husky vogliono continuare a ruggire.

 

L’ultimo maledetto secondo

Finito un incontro, se ne fa un altro. Si pulisce il parquet, le due squadre si riscaldano, i rispettivi quintetti si preparano a scendere in campo, e si ricomincia. Faccia a faccia ci sono i Kentucky Wildcats, quella che nella preview delle Final Four definimmo come ammazza grandi per eccellenza (Wichita State e Louisville, per citarne due), e i Wisconsin Badgers che, sulla carta, avrebbero dovuto risolvere la pratica senza enormi difficoltà. L’obiettivo dei biancorossi era quello di neutralizzare Julius Randle, il quale però si è neutralizzato da solo, facendosi male a metà prima frazione conseguentemente ad un atterraggio errato dopo un tiro in sospensione, tornando poi sul rettangolo di gioco ma al 50% del suo reale stato di forma. A questo punto il team guidato da John Calipari sembrava non avesse più speranze di poter almeno impensierire i propri oppositori. In effetti il primo tempo si è  concluso con la coppia Dekker-Brust che ha portato i Badgers sul 36-40.

Calipari Randle

 

Al rientro dagli spogliatoi, coach Calipari decide di affidare il destino della sua squadra interamente ad un uomo: James Young. La guardia tiratrice diventa la chiave di volta della gara dei Wildcats: al suo primo anno con la casacca blu, il freshman proveniente dal Michigan ha portato a termine la sua serata con 17 punti, 5 su 11 dentro l’area e 6 su 7 dal tiro libero, ai quali si aggiungono ben 5 rimbalzi. Sono stati proprio i rimbalzi, infatti, ad aver deciso la prestazione di Kentucky: Randle e compagni hanno sovrastato Wisconsin con 32 rimbalzi rispetto ai 27 dei propri rivali, tra i quali si contano ben 11 rimbalzi in fase offensiva, 5 in più dei Badgers. Nonostante Young e nonostante i rimbalzi, la banda Ryan si trovava ancora su, con un piede nella finalissima di questa sera. E se non fosse stato per Aaron Harrison, ora staremmo parlando d’altro. È lui il buzzer-beater in persona, è lui il guastafeste che non vorresti mai conoscere ma che prima o poi ti ritrovi sulla tua strada a bloccarti il transito. Terzo tiro all’ultimo  secondo riuscito in questo torneo NCAA che equivale al terzo sorpasso completato: dopo Wichita State e Michigan, ora anche Wisconsin. L’incredulità e lo sconforto si stampano sui volti di giocatori, staff tecnico e tifosi biancorossi. Kentucky è in finale, i gemelli Harrison sono stati ancora una volta gli ultimi ad arrendersi. Perché finché la sirena non suona, loro stessi ci hanno insegnato (e dimostrato) che può accadere di tutto.

 

Quattro motivi per seguire il National Championship Game

Insomma, comunque vada sarà un successo. Per la prima volta nella storia della NCAA, nella finale per il titolo del torneo collegiale si affronteranno due università che non appartengono ai primi tre posti nel ranking delle rispettive zone. East contro Midwest, Connecticut contro Kentucky, due formazioni che nella scorsa edizione neanche avevano partecipato alla Big Dance, come la chiamano nel Nord America, ovvero la massima competizione collegiale in assoluto (non solo della pallacanestro), rendendo questo National Championship Game unico, il primo a presentare due squadre che nella passata stagione non avevano partecipato al torneo, ripetendo quanto è accaduto nel 1966 quando Texas Western batté Kentucky in una storica, rocambolesca, impressionante gara. E ci sono quattro motivi per cui il paragone tra il ’66 ed il 2014 non è poi così banale.

Shabazz Napier

–          Le difese faranno la differenza, da entrambe le parti. Per quanto riguarda UConn, Ryan Boatright e Shabazz Napier hanno mietuto un’altra vittima sabato scorso, surclassando Wilbekin e le guardie di Florida tanto in difesa quanto in attacco. Sono riusciti a domare uno dei migliori team in quanto ad efficienza realizzativa, quello che per molti è stato considerato come il miglior pacchetto offensivo delle Final Four, concedendo loro solo tre assist in tutto l’arco del match e riservando così lo  stesso trattamento che è stato adottano con i Michigan Wolverines. Kentucky, invece, può contare sui gemelli nativi di San Antonio, Aaron e Andrew Harrison, capaci di tirare fuori la giocata più importante nel momento meno atteso. In finale sono approdati proprio grazie ad una loro giocata, assist di Andrew e tiro da tre di Aaron. Dunque, impostare nel migliore dei modi la fase difensiva potrebbe risultare utile per la conquista del titolo.

Julius Randle

–          DeAndre Daniels e Julius Randle, due stili diversi, due percorsi diversi. Il centro in maglia blu è l’attaccante più atteso, specialmente per quanto ha dimostrato durante le varie fasi del NCAA Tournament, fatto sta che la doppia-doppia di Daniels è bastata per vietare a Florida l’ingresso nel National Championship Game. Il #2 californiano si presenterà questa notte con una media di 17 punti e 7 rimbalzi a partita, statistiche da non sottovalutare poiché parzialmente simili a quelli registrati dal freshman Randle, autore di 16 punti e 11 rimbalzi a partita. Paradossalmente, il pivot dei Wildcats potrebbe compiere il grande passo verso i palcoscenici NBA già dalla prossima stagione, mentre per Daniels ci sono molte meno chance di entrare a far parte dell’NBA Draft di questa estate. Ma questo non influirà di certo nella performance di questa sera. E solo uno di loro due vedremo gioire a fine partita.

Aaron Harrison

–          Chi sfrutterà maggiormente la linea dei tre punti? Dopo quanto abbiamo assistito nelle scorse occasioni, buona parte della gara si deciderà da lì. UConn ha avuto la meglio su Florida anche dai 3 punti: Napier e Boatright hanno centrato 5 dei 12 tentativi totali, contro un solo tiro su 10 tentati dai Gators, merito soprattutto di un fortino invalicabile. Anche se i Wildcats  hanno messo a segno solo 2 su 5 tiri da fuori area, stessa percentuale dei Badgers con 8 su 20 dietro la linea, gli Huskies non possono sottovalutare James Young e Aaron Harrison. Chiedete a Bo Ryan.

Kevin Ollie

–          In panchina i due allenatori, John Calipari e Kevin Ollie, dovranno unire tutti gli ingredienti ideali per poter salire sul gradino più alto del podio. Tutte e due, inoltre, hanno risposto a suon di successi a tutte le critiche piovute durante la regular season nei confronti delle rispettive selezioni. Da una parte, John Calipari è ad un passo dalla conquista del suo secondo titolo NCAA negli ultimi tre anni, con giocatori diversi in tutto e per tutto da quelli che nel 2012 alzarono al cielo il loro ottavo trofeo nella storia di questa università, e difficilmente gli si potrà contestare qualcosa sul modo in cui si crescono dei ragazzi in una squadra giovanile. Qualche metro più distante da Calipari c’è Kevin Ollie, che fino a quattro anni orsono continuava a giocare come playmaker nella NBA (non nei campetti di periferia, per dire). Lui, a 41 anni, ha ottenuto con le unghie e con i denti la sua prima finale NCAA da allenatore, al secondo anno sulla panchina degli Huskies, un college che conosce molto bene, avendoci militato per quattro anni, dal ’91 al ‘95. Magari sarà troppo presto per definirlo un allenatore già pronto, ma di certo il suo carisma e la sua grinta sono caratteristiche che nel Connecticut mancavano dai tempi di Jim Clahoun. E chissà se coach Ollie non seguirà i suoi passi.

 

 

Valerio Scalabrelli – @Scalabro92

(fonte: Tribuna Italia)

Un trono per quattro: guida ufficiosa alla NCAA Final Four 2014

Da qualche giorno a questa parte, guai a chi parla di tabelloni, di zone, di favoriti e sfavoriti, di pronostici e previsioni. Siamo entrati in quel periodo dell’anno nel quale la NCAA si riduce ad un numero, il quattro, non solo come le iniziali che compongono la sigla dell’associazione sportiva studentesca più famosa degli Stati Uniti, ma anche e soprattutto come le squadre che da sabato a lunedì si contenderanno il massimo trofeo del panorama cestistico collegiale. Il cuore del basket nazionale è stato trapiantato da New York City, sede della National Basketball Association, e spostato temporaneamente ad Arlington, città della Contea di Tarrant, situata nel nord del Texas, dove Wisconsin, Kentucky, Florida e Connecticut si daranno battaglia: l’AT&T Stadium, casa dei Dallas Cowboys, franchigia della National Football League, e luogo principale del Cotton Bowl Classic (nome con il quale si indica una partita di football tra college della Big 12 ed della South Eastern Conference) si trasformerà per due notti nell’arena dove finirà, nel bene o nel male, il percorso delle partecipanti al torneo NCAA, ribattezzato March Madness.

 

Wisconsin Badgers

Una delle sfide più improbabili di queste Final Four è sicuramente quella tra Wisconsin e Kentucky, uno dei duelli meno pronosticati dagli esperti nel settore, ma anche dagli stessi tifosi: come ha rivelato un sondaggio della CBS, l’1.7% di coloro che hanno compilato il tabellone (il bracket) aveva puntato sui Wisconsin Badgers e solo l’1% aveva scommesso sui Kentucky Wildcats.

I Badgers di coach Bo Ryan, partiti come 12esima forza della stagione secondo l’Associated Press Poll, hanno chiuso la regular season al secondo posto registrando un record di 12-6 nella propria conference e con la miglior partenza in assoluto della loro storia (16-0). Nonostante l’eliminazione nella semifinale del Big  10 Tournament, il comitato ufficiale durante il Selection Sunday li ha piazzati nella seconda casella della zona West del tabellone principale, una decisione che è stata ripagata dagli stessi ragazzi biancorossi, autori di un cammino eccezionale. Ben Brust, nel Round of 32 contro Oregon, ha raggiunto quota 228 tiri da tre punti andati a buon fine, battendo il record precedentemente detenuto da Tim Locom; ma gli stessi Badgers, con la vittoria su Arizona per 64 a 63 all’overtime, si sono qualificati per la Final 4 dopo 14 anni di astinenza, ed è la terza volta in assoluto nella storia di questa università.

Il merito di questi risultati non è soltanto di Bo Ryan, come lo stesso coach ha ammesso (“È incredibile quello che i miei ragazzi riescono a realizzare quando non si preoccupano di chi gli da credito”, ha dichiarato in un’intervista): i tre fattori che hanno condizionato il cammino dei Badgers sono lo stato fisico e mentale della coppia Kaminisky-Jackson (rispettivamente points leader e assists leader), la rapidità dei movimenti con la palla e della palla e l’altruismo, elemento fondamentale nella riuscita di qualsiasi gioco di squadra. Ma per molti, l’unica strategia che dovranno adottare per vincere la semifinale è quella di mettere in seria difficoltà Julius Randle: la stella dei Wildcats, quando riceve palla a 4 metri di distanza dal canestro, quasi sempre mette fuori gioco la difesa avversaria. E la sua mossa di far girare rapidamente la sfera quando le marcature si spostano su dilui è uno dei cambiamenti improvvisi che coach Calipari adotta nei suoi schemi offensivi. Se i Badgers vogliono di vincere, dovranno porsi un solo obiettivo: neutralizzarlo.

 

Kentucky Wildcats

Dall’altra parte troviamo i Kentucky Wildcats, “l’ammazza grandi” per eccellenza. Dopo una stagione altalenante, i Kentucky Wildcats guidati da un quintetto interamente composto da freshemen (ovvero da matricole, ragazzi al primo anno di università) sono riusciti a raggiungere le Final 4 sconfiggendo una dopo l’altra le favorite alla vittoria finale. E il loro cammino è ricco di aneddoti.

Come abbiamo detto, al secondo posto nella South Eastern Conference si è aggiunto il secondo posto nel SEC Tournament, superati in finale dai Florida Gators per 61 a 60. Ripescati come ottavi nel ranking del Midwest, dopo aver battuto Kansas State nel Round of 64, i Wildcats hanno eliminato i Wichita State Shockers, che fino a quel momento non avevano mai perso. John Calipari,  head coach di Kentucky, ha dichiarato che questa è stata una vera e propria guerra contro la squadra più forte della NCAA, sostenendo inoltre che da una parte era contento per lui e i suoi ragazzi ma dall’altra era dispiaciuto per gli avversari, perché gli Shockers avevano registrato un ruolino di marcia impressionante (35 vittorie su 35 incontri). Inoltre lo stesso Calipari ha affermato che, dopo il buzzer-beater fallito da Fred VanVleet ad 1 secondo dal termine della gara, saltò improvvisamente talmente tanto in aria che quando toccò nuovamente terra si fece male ad un’anca. Non si tratta però dell’unica prestazione impeccabile di Randle e compagni: sull’onda dell’entusiasmo, i Wildcats hanno affrontato ed eliminato i campioni in carica di Louisville, stravolgendo ogni pronostico e compiendo un’incredibile rimonta nei minuti finali. E una rimonta tira l’altra, chiedere a Michigan per ulteriori conferme. I Wolverines infatti hanno subito un clamoroso ribaltamento all’ultimo istante del match, quando il punteggio si trovava sul 72 a 72: dopo il decisivo tiro da tre punti di Aaron Harrison a 2 secondi dal termine, Nik Stauskas ha provato il tiro della disperazione con un esito negativo. L’ultima immagine di questo confronto immortalava un Nik Stauskas demoralizzato in primo piano, ed i Wildcats che sullo sfondo stavano portando in trionfo la giovane guardia tiratrice. Il suo tiro in prossimità  della sirena è considerato uno dei migliori nella storia dei Kentucky Wildcats.

Tutti, ovviamente, sono rimasti impressionati dalla facilità di impostazione del gioco da parte di questo quintetto di puri freshmen: il centro Dakari Johnson, l’ala grande Julius Randle, l’ala piccola James Young e i fratelli Harrison, Aaron (guardia tiratrice) e Andrew (playmaker). Il giornalista della ESPN Max Kellerman ha commentato su Twitter le prove dei Wildcats, affermando che il quintetto di partenza ha dimostrato di avere una sicurezza nel gioco che non è tipica delle matricole, aggiungendo inoltre che il motto di coach Calipari “Non importa il punteggio, basta giocare” racchiude esaustivamente il cammino del suo team nella NCAA Tournament. E sempre tramite un cinguettio, l’account ESPN Stats & Info ha avvalorato la tesi di Kellerman: Kentucky è il primo team dal 1992 ad oggi ad aver vinto le Elite 8 con 5 freshmen nel quintetto di partenza, 22 anni dopo i Fab 5  di Michigan.

Si affronteranno due stili diversi, due rose che non hanno nulla in comune. I bianco blu dovranno  stare attenti a Frank Kaminsky, il centro di Wisconsin, l’unica vera gatta da pelare per la difesa. I ragazzi sono talentuosi e soprattutto scaltri: la loro grandezza fisica, unita all’atletismo, ha permesso loro di dominare in ogni zona del parquet, motivo che giustifica la loro tendenza offensiva. Hanno imparato a giocare e vincere insieme, e se sapranno usare anche un pizzico in più di malizia, risulterà sempre più difficile impensierirli.

Florida Gators

Indiscutibilmente sono la squadra da battere. Riprendendo quanto si diceva su  Attila, dove passano i ragazzi  di coach Donovan non cresce più l’erba: primo posto nella SEC regular season con un invidiabile record di 18 vittorie su 18 incontri nella propria conference, diventando così il primo team di questa conference ad aver chiuso la stagione regolare da imbattuti; quarto titolo nella storia di questa università nella South Eastern Conference, arrivato con il successo per 61 a 60 sui Kentucky Wildcats; nel NCAA Tournament, la quarta Elite 8 consecutiva ha un lieto  fine rispetto agli ultimi tre anni (eliminati in tutte e tre le occasioni), poiché il 62:52 su Dayton non solo permette loro di raggiungere le Final Four dopo 7 anni ma equivale anche alla 30esima vittoria consecutiva in questa stagione.

La striscia positiva che dura da dicembre 2013 è merito di una rosa solida e compatta. Il quintetto di partenza è il migliore delle quattro squadre presenti ad Arlington: al centro troviamo Patrick Young, un senior esperto nelle stoppate, capace di collezionarne ben 40 lungo il percorso; alle sue ali troviamo altri due senior, ovvero l’ala grande Will Yeguete e l’ala piccola Casey Prather, nonché points leader dei Gators con 496 punti messi a segno fino ad ora. Anche la difesa è ben sistemata: Michael Frazier II, il più giovane dei cinque, non è una semplice guardia tiratrice, ma un cecchino formidabile in grado di registrare una media del 44.8% dal tiro da 3 ed una media del 84.2% dal tiro libero. A protezione della giovane guardia c’è Scottie Wilbekin, il playmaker, assists leader e steals leader di Florida. Insomma, uno che ruba ai nemici per dare agli amici.

Davanti a loro troveranno i Connecticut Huskies, la sorpresa dell’East Region trascinata dalle intuizioni di Shabazz Napier. I pronostici, a dire il vero, sono tutti a favore degli alligatori: il pacchetto offensivo è il più forte e versatile della Final Four, trascinato dai tiri di Casey Prather e dai movimenti senza palla di Patrick Young, abile tanto nel pick-and-roll che nella fase di copertura. La panchina inoltre riserva il leader dei rimbalzi, Dorian Finney-Smith, il sostituto naturale di Prather, e le due giovani promesse Chris Walker e Kasey Hill. L’ultimo ingrediente utile nella preparazione di una macchina da guerra è l’allenatore, Billy Donovan, da 18 anni sulla panchina degli arancio-blu con i quali ha raggiunto  già due titoli NCAA, nel 2006 e nel 2007. Se questi sono i presupposti, se questa è la formazione sua disposizione, mantenere fede al detto “Non c’è due senza tre” sarà un gioco da ragazzi.

 

Connecticut Huskies

Ultima, ma non meno importante, la UConn, ovvero i Connecticut Huskies dell’Università del Connecticut. Tra le quattro partecipanti, sono quelli meno accreditati a giocarsi la finale nell’AT&T Stadium di Arlington, a causa anche di una stagione caratterizzata da alti  e bassi: dopo essersi aggiudicati il 2K Sports Classic, un torneo a invito che si svolge nel mese di dicembre, nella AAC (l’American Athletic Conference) si sono piazzati al quarto posto dietro gli SMU Mustangs, riscattandosi parzialmente nella AAC Tournament, dove si sono dovuti arrendere soltanto davanti ai campioni in carica della NCAA, i Louisville Cardinals. Il torneo universitario statunitense più importante lo scorso anno non vide ai nastri di partenza proprio la UConn, a causa delle sanzioni conseguenti alle penalizzazioni derivanti dalle pessime valutazioni rimediate nell’Academic Progress Rate, ovvero un metodo di misurazione che valuta i risultati accademici ottenuti dagli atleti che studiano nelle università affiliate alla NCAA Division 1. Quest’anno, però, la musica è cambiata e in rapida successione hanno dovuto cedere il passo Saint Joseph’s, Villanova, Iowa State e per ultimo Michigan State. Saranno anche gli ultimi arrivati, ma la voglia di rivalsa sarà uno dei fattori sui quali punteranno i ragazzi di Kevin Ollie per cambiare le carte in tavola.

Se si nominano gli Huskies, la prima cosa che viene in mente è la loro roccaforte: in difesa infatti possono contare su giocatori del calibro di Shabazz Napier, il playmaker nonché East Regional MOP (Most Outstanding Player), e Ryan Boatright, la guardia tiratrice, i quali fanno rispettivamente parte dell’All-American Athletic First Team e dell’All-American Athletic Second Team. Ma coach Ollie sa di poter contare anche sul tedesco Niels Giffey, lo swing man al suo ultimo  anno di college che completa il miglior pacchetto arretrato dell’intero paese; lo stesso nativo di Berlino si è posto come obiettivo quello di bissare il successo del 2011, quando vinse il titolo della Division 1 nel suo primo anno tra le fila degli Huskies. DeAndre Daniels e Philip Nolan, al contrario, sono i “punti deboli” del quintetto di Ollie; il giovane allenatore, tra l’altro, non ha una panchina ben assortita come quella del suo collega Billy Donovan, altrettanto giovane ma nettamente più esperto nel settore: Terrence Samuel e Amida Brimah sono gli unici in grado di assicurargli la stessa continuità del quintetto iniziale.

L’ultima volta che Gators e Huskies si sono incontrati, Shabazz Napier tirò fuori dal cilindro un buzzer-beater che diede la vittoria ai suoi per 65 a 64. Fu proprio questa l’ultima sconfitta subita da Florida in questa stagione prima di aver cominciato ad inanellare ben 30 risultati utili consecutivi. La UConn, invece, sono calati leggermente in rendimento e costanza dal loro ultimo faccia a faccia, ma ciò fortunatamente non ha influito nella loro post-season, come si è visto nella spettacolare rimonta ai danni di Villanova e nel successo sui favoriti Michigan State nella finale regionale. Ed ora, sulle ali dell’entusiasmo e con un Napier in stato di grazia, Kevin Ollie tenterà di sgambettare nuovamente i loro acerrimi rivali. D’altronde questa è la NCAA, tutto è possibile.

 

Valerio Scalabrelli – @Scalabro92

(fonte: Tribuna Italia)

Andrew Wiggins, un canadese ad Orlando?

Più che di lui, in questi giorni si è parlato soprattutto dell’eliminazione del suo college. I Kansas Jayhawks infatti sono stati buttati fuori al Round of 32 dagli Stanford Cardinal, concludendo così il percorso che avrebbe dovuto portarli fino ad Arlington, Texas. Ciò non ha influito minimamente sul valore dell’ala piccola Andrew Wiggins, uno degli atleti più interessanti del panorama NCAA.

Andrew Wiggins smile
Andrew Wiggins con la nazionale canadese.

Dotato di uno spiccato gioco offensivo straordinariamente pulito, le sue elevate doti atletiche lo rendono incontrollabile dagli avversari: sfruttando la sua rapidità, scivola facilmente intorno a qualsiasi difensore intenzionato a marcarlo. Tra le sue abilità si evidenzia su tutte quella di “ladro”, perché lui riesce ad approfittare di una seppur minima disattenzione del quintetto opposto per impossessarsi della sfera e correre a canestro, o magari provare un semplice tiro, essendo un cecchino dal perimetro. In ogni caso, la sua percentuale media di tiri riusciti è alta per un ragazzo della sua età (18 anni!). La statura è un fattore che lo aiuta: 90 kg spalmati su 2,03 metri, misure importanti per il suo ruolo. E se gli spicchi non dovessero essere tra le sue mani? Semplice, si libera facilmente dal suo marcatore e si posiziona il più delle volte agli angoli dell’area, in modo tale da poter ricevere i passaggi dei propri compagni e mirare a canestro, talvolta fintando il tiro e optando per un drive con schiacciata annessa.

Andrew Wiggins
Paragonato a Rudy Gay, riuscirà a sfondare fin da subito nella NBA?

La sua giovane età strettamente legata all’inesperienza nella pallacanestro che conta è di certo un punto a suo sfavore, così come la mancanza di leadership, caratteristiche che si faranno sentire nel suo primo anno tra i professionisti. Necessita di migliorare la sua forza fisica, anche se il suo corpo ha una struttura normale per un atleta della sua età. Ciononostante, Wiggins ha una quantità irreale di potenziale e questo lo porterà sotto l’occhio di ogni scout per i prossimi anni, considerato uno dei migliori prospetti nel suo ruolo da tutti gli addetti al reclutamento delle matricole. Jacque Vaughn potrebbe trovarselo tra le sue fila la prossima stagione: gli Orlando Magic infatti stanno seriamente pensando al giovane canadese, affiancandolo a Moe Harkless e Tobias Harris, i quali dovrebbero aiutarlo ad ambientarsi tra le mura dell’Amway Center.

 

Valerio Scalabrelli – Twitter: @Scalabro92

Joel Embiid ed il Wells Fargo Center: Philadelphia farà centro?

Il suo presente vissuto nella University of Kansas non è uno dei migliori, ma il futuro gli potrà riservare ricche soddisfazioni. Joel Embiid, camerunense di 20 anni, centro dei Kansas Jayhawks, ha dovuto dire addio ancora una volta alla NCAA Final Four: la sua squadra, dopo la facile vittoria contro Eastern Kentucky, è stata eliminata al Round of 32 dagli Stanford Cardinal. Niente paura, però: il giovane Embiid è considerato uno dei migliori prospetti per il Draft della NBA che si terrà il 26 giugno a New York City, in una location tra il Barclays Center ed il Madison Square Garden.

Joel Embiid dunk
Joel Embiid in una delle sue numerose schiacciate.

In pochi sanno che questo ragazzo di 2 metri d’altezza ha cominciato a giocare a basket… nel 2011! Ebbene sì, perché il camerunense è stato un pallavolista ma soprattutto un calciatore: un atleta completo insomma, che ha sempre fatto della sua lunghezza e della sua fluidità nei movimenti i suoi punti di forza. Qualità che ha trasportato dall’erba dei campi da calcio fino al parquet delle arene di pallacanestro, mostrando subito un’impressionante facilità nel controllo della palla e negli spostamenti da una zona all’altra del campo, agilità che difficilmente si nota in un cestista della sua statura, specialmente se nel suo ruolo se ne sono visti pochi di giocatori che si sono avvicinati  ai 2 metri di altezza. Embiid ha una buona manualità e un tocco morbido sia nel possesso che nel tiro, inoltre è molto altruista: dopo una gara interna dei suoi Jayhawks, raccontò che voleva far diventare il passaggio della palla la peculiarità principale del suo gioco.

Pecca di leadership e di esperienza, alle quali si aggiungono la mancata forza e rapidità che nei rimbalzi è fondamentale. Ciononostante, il nativo di Yaoundé rimane uno dei pezzi pregiati che molte franchigie si contenderanno la prossima estate. Tra queste, ci sono i Philadelphia 76ers:  Pennsylvania necessita di un centro puro, diverso dai vari Byron Mullens, Henry Sims e Jarvis Varnado. Lui, figlio di un giocatore professionista di pallamano, cresciuto a pane e calcio, paragonato a stelle del calibro di Tim Duncan e Akeem Olajuwon, riuscirà a non farsi mangiare dalla pressione del Wells Fargo Center ed a raccogliere l’eredità del miglior centro che i Sixers abbiano mai conosciuto, ovvero Wilt Chamberlain?

Valerio Scalabrelli – @Scalabro92

NCAA, Road to March Madness 2014: la schiacciata di Bojanowsky condanna Maryland

I posti per il prossimo NCAA Basketball Division 1 Tournament si stanno man mano riempiendo tutti: già molte conference hanno decretato i loro campioni, coloro che automaticamente parteciperanno alla corsa per il titolo più ambito della pallacanestro collegiale.

Nell’Atlantic Coast Conference, invece, è andato in scena il secondo round del torneo, il giorno dopo il round inaugurale (12 marzo) che ha visto trionfare Wake Forest, Miami e Georgia Tech. La gara di cartello del Greensboro Coliseum (l’arena dove si svolge l’intera fase ad eliminazione diretta) era indubbiamente quella che vedeva di fronte Maryland e Florida State. Questo match molto combattuto si è chiuso con un devastante buzzer-beater: il centro di Florida State, Boris Bojanowsky, riceve palla sotto canestro e a due decimi dalla fine schiaccia sui difensori avversari la sfera che vale l’accesso al terzo round di domani, dove ad attenderli ci sarà la capolista della regular season Virginia.

Questo risultato (67:65 per Florida State) arrivato all’ultimo respiro è solo il preludio di quanto accadrà lungo tutto il periodo rinominato “Follia di Marzo”. Preparatevi, siamo ancora agli antipasti.

 

Valerio Scalabrelli – @Scalabro92

NCAA, Road to March Madness 2014: la rivalità della Tobacco Road

NC Duke

Ogni sport, se analizzato nel particolare, può vantare dei confronti tra città o tra singole squadre che rendono una competizione ancor più entusiasmante. Prendiamo la MLB, il più grande campionato di baseball al mondo: non esistono partite che possano raggiungere lo stesso livello della faida tra New York Yankees e Boston Red Sox. Oppure nella NCAA Football, dove la sfida più sentita è certamente quella tra Ohio State e Michigan. Rimanendo nel mondo del college, passando da un’ovale con le cuciture ad una palla arancione con le scanalature, se si parla di pallacanestro non si può non pensare a due università che hanno dato vita ad uno degli antagonismi più acerrimi negli Stati Uniti del basket, quello tra Duke e North Carolina, chiamata anche la Tobacco Road rivalry, per via della strada che collega le due università.

Due tifose di Duke e UNC, una accanto all'altra, incitano le proprie squadre.
Due tifose di Duke e UNC, una accanto all’altra, incitano le proprie squadre.

Su una cosa possiamo essere tutti d’accordo: Blue Devils e Tar Heels non sono mai, e sottolineo mai, andati d’accordo. Le due selezioni si odiano talmente tanto che le loro sfide vengono ricordate più per le (tante) botte che si sono dati i giocatori, meno per i risultati ottenuti sul campo. Questo che vedrete qui sotto è un breve elenco dei 5 match più violenti tra i due team:

4 febbraio 1961. Al Duke Indoor Stadium, Art Heyman (Duke) e Larry Brown (UNC) scatenano una mega rissa che ha coinvolto giocatori, allenatori e pubblico per un fallo dello stesso Heyman su Brown avvenuto sotto canestro.

5 febbraio 1992. Eric Montross di North Carolina mette a segno i 2 tiri liberi decisivi per la vittoria su Duke con il punteggio di 75 a 73. Il centro #00 però uscirà dal campo decisamente malconcio: l’immagine che rimarrà impressa nella mente dei presenti sarà il suo zigomo sinistro tagliato da una gomitata rimediata poco prima della serie di tiri, con tanto di sangue che scendeva lungo il volto; a questo si deve aggiungere il suo piede calpestato da Bobby Hurley dei Duke durante il corso dell’incontro.

Eric Montross

9 marzo 2003. A Chapel Hill l’incontro inizia male e finisce peggio: l’allenatore di North Carolina Matt Doherty e l’assistant coach dei Duke Chris Collins vengono faccia a faccia dopo un episodio che vede Dahntay Jones (Duke) sferrare inavvertitamente un pugno in faccia a Raymond Felton (UNC) mentre si contrastavano per un rimbalzo. Felton  perderà sangue dal labbro, ma l’attenzione del pubblico si sposterà su Andre Buckner, cestista dei Duke, che spingerà Matt Doherty, provocando il finimondo.

4 marzo 2007. I Tar Heels battono i Blue Devils al Dean Smith Center per 86 a 72, ma di quella partita non verrà ricordata la terza vittoria consecutiva per UNC: a 14 secondi dalla fine, mentre Tyler Hansbrough (UNC) stava saltando a canestro, Gerald Henderson (Duke) gli tira un gancio sinistro sul naso nel tentativo di toglierli la sfera dalle mani, rompendoglielo e forzandolo a portare una maschera protettiva per il resto del torneo.

12 febbraio 2014. Come ogni anno, alla vigilia del primo match tra Duke e North Carolina, si tiene il Managers Game, partita che vede affrontarsi gli studenti che forniscono asciugamani e bibite agli atleti delle rispettive compagini. Per capire il livello di agonismo, aggressività e competitività della sfida, basta assistere all’esagerata esultanza che lo scorso anno i Cameron Crazies hanno riservato al manager di Duke, autore di un buzzer beater.

Ma quest’anno è stata presa una piega decisamente diversa: due manager avversari si contendevano un rimbalzo, quello di UNC non ne vuole sapere di perdere il controllo della palla e assesta una gomitata al suo diretto opponente, facilitando la combo rissa e invasione di campo. Non una novità.

 

 

Valerio Scalabrelli – @Scalabro92

NCAA, road to March Madness 2014: Syracuse e Wichita State, sono loro le favorite?

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Una viene dallo stato di New York, l’altra dal Kansas. Una è totalmente arancione, con qualche macchia di bianco e blu, l’altra è gialla e nera. Entrambe si sono poste come obiettivo la finale del 7 Aprile che si svolgerà ad Arlington, Texas. Le due compagini di cui stiamo parlando provengono da due università, appartenenti alla NCAA dunque, dove una primeggia nell’Atlantic Coast Conference mentre l’altra domina la Missouri Valley Conference: queste sono Syracuse Orange e Wichita State Shockers.

Syracuse e Wichita State detengono attualmente un record invidiabile: 20 gare disputate, 20 vinte (di cui una all’OT) per gli Orange; 23 gare disputate, 23 vinte (di cui solo 1 all’OT) per gli Shockers. Molte volte ci soffermiamo sulla bravura di alcuni cestisti, ma come nella pallacanestro anche in altri sport vogliamo trovare il fenomeno in ogni squadra, che sia di calcio, di rugby, di baseball, di football americano, di hockey e via dicendo.

Qui no, non esistono fenomeni, perlomeno sul parquet. Perché se le due università si trovano lì sopra, in vetta nelle rispettive Conference, è merito dei due head coach: da una parte c’è l’esperto Jim Boeheim, classe ’44, l’uomo che da 38 anni guida questo team, riuscendo ad entrare in tre occasioni nella finale della NCAA Tournament, con un ricordo più felice legato al 2003, quando furono due giovanissimi come Carmelo Anthony  e Hakim Warrick a portare i loro compagni di squadra al trionfo; la panchina opposta è occupata invece dal “giovanissimo” Gregg Marshall: le virgolette servono, perché nonostante le sue 9 primavere passate con i Wintrhop Eagles si trova da soli 7 anni alla guida degli alunni sconvolgenti (così recita il loro nome) provenienti dal Kansas che, a dire il vero, non sono mai riusciti a sconvolgere se non la scorsa stagione, quando raggiunsero le Final Four dopo 48 anni di astinenza, e questa stagione, dove sono i re indiscussi della Missouri Valley.

Questi sono i motivi che hanno spinto in molti a sostenere che saranno proprio loro, dentro l’AT&T Stadium, a disputarsi la mitica finale della NCAA Division I.

Valerio Scalabrelli – @Scalabro92