Se su Google immagini si scrive “Oklahoma City Thunder”, la maggioranza delle foto ritrae loro due: Durant e Westbrook, la coppia esplosiva che sta trainando i successi del tuono di OKC, con KD sempre più matematicamente perfetto nei suoi colpi e West più adulto, a servizio della squadra, perfetto direttore d’orchestra intuitivo e potente. Ma da ieri, il duo è spezzato: Oklahoma City si ritrova senza Westbrook, bloccato fino a metà febbraio (almeno fino al 16, la pausa per l’All Star Game) dopo un’operazione in artroscopia al ginocchio destro, lo stesso ginocchio infortunatosi durante i playoff 2013 contro Houston (lesione del menisco esterno). Westbrook, dopo il primo intervento in aprile, aveva subito un’operazione in ottobre, sempre in artroscopia, e i suoi tempi di recupero erano fissati attorno alle 4/6 settimane. Si prevedeva un primo mese di regular season difficile per OKC, ma il play di Long Beach, sorprendendo addetti ai lavori e tifosi, era riuscito in un recupero record, tornando in campo dopo le prime due gare di inizio season (@Utah e @Minnesota). In tutti gli sport i recuperi record destano sempre particolari preoccupazioni, e in NBA spesso le cose fatte in fretta si complicano ancor più del dovuto. Il general manager dei Thunder, Sam Presta, ha tenuto a specificare come, da quel momento, Westbrook abbia giocato tranquillamente, senza problemi, con prestazioni sempre in crescita (e la tripla doppia messa a segno per Natale contro NYK lo dimostra), ma che “di recente aveva accusato un dolore al ginocchio. In seguito, la risonanza magnetica ha evidenziato un problema che prima non esisteva o che non era individuabile – ha continuato Presti in un comunicato stampa-, e un ulteriore consulto ci ha fatto capire che, per risolvere il gonfiore, era necessaria una nuova operazione”. Terza operazione nell’arco di 8 mesi, dunque, per Westbrook, che lascia tutto il peso della squadra sulle spalle di KD, saltando almeno 27 gare prima del ritorno in campo.
In sua assenza, verrà promosso Reggie Jackson, che dalla panchina aveva messo a segno prestazioni di rilievo, ma non sembra ancora pronto alla responsabilità di guidare una squadra come quella di OKC. D’altro canto il suo utilizzo indebolisce la second unit, punto forte dei Thunder. Ibaka è in crescita regolare, ma ha ancora bisogno di tempo. Lamb da la sua bella mano dalla panchina, ma non basta. Senza dubbio, Durant dovrà dimostrare adesso quello che lui stesso e chi crede in lui si aspetta da tempo: di saper vincere anche da solo, di avere una tale forza mentale e fisica da poter guidare la squadra al successo sempre, anche senza il carattere, i colpi e le intuizioni di West. Di guadagnarsi sul serio, a morsi, quel benedetto MVP. Potrebbe addirittura essere l’occasione giusta per il suo scatto di livello, dimostrando la sua vera forza in un momento d’emergenza. Ieri sera contro Charlotte è sembrato un po’ fuori fase, comprensibilmete: gli sono serviti 28 tiri per metter dentro 34 punti, che hanno comunque sortito l’effetto sperato. Bobcats battuti, 89-85, seconda gara di season sotto i 90 punti (la prima era stata la sconfitta contro Minnesota, seconda gara di season, guardacaso senza Westbrook). Per stavolta son bastati, ma i Thunder devono fare più e meglio di così, se vogliono mantenere il ritmo che li ha portati in testa alla Western Conference. Il prossimo avversario è Houston in casa: sarà difficile far valere il fattore campo contro Howard, Jeremy Lin, Parsons e l’ex di turno, Il Barba James Harden. Adesso sta tutto nelle mani di KD.