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Manute Bol, la speciale benedizione del Sudan del sud

Mauro Maialetti,

Per Dunk NBA.

Quando giocano in trasferta potrebbero risparmiare spedendolo via fax”.

Questo era il laconico commento di un tal Allan Stewart Königsberg, al tempo Woody Allen.

Ed era forse la prima cosa che ti piombava nell’encefalo quando lo vedevi : un gigante magrolino.

Altezza fuori dalla norma ma corporatura non robusta, quasi esile per un “uomo” da 231 centimetri.

Manute nasce nel 1962 vicino Gogrial, una cittadina di 40 000 anime nel Sud del Sudan.

Suo padre, anziano e importante “rappresentante” della tribù Dinka, lo chiamò Manute che significa “speciale benedizione”.

La sua straordinaria altezza non è casuale, anzi : tutta la famiglia (mamma 208 centimetri, padre 203) e la tribù stessa era composta da spilungoni.

Da ragazzino la sua unica mansione era  badare al bestiame (pecore), fondamentali per il sostentamento di tutta la tribù.

Il primo sport che provò da giovane fu il calcio. Esperimento logicamente fallito.

Il perché è abbastanza scontato da capire : un uomo con un’apertura di braccia da 2 metri e mezzo circa non è  proprio adatto per giocare a calcio, nemmeno come portiere.

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Cosi si cimentò nel basket del suo paese, dove all’inizio sperimentò l’odio razziale della maggioranze dei sudanesi del nord, fino a quando finì sul taccuino di coach Don Feeley, della “Fairleigh Dickinson University”, che lo convinse ad andare in America.

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“Non capivo assolutamente una parola. Uscivo pazzo, ogni volta pensavo stessero parlando di me”.

In queste sue poche parole è descritto tutto il disagio relativo alla sua ambientazione nella nuova realtà a stelle e strisce.

Venne scelto nel draft del 1985 dai Washington Bullets (con una media di 5 stoppate a partita in 80 partite disputate) dove giocò per 3 stagioni (1985-1988) per poi passare ai Golden State Warrior (per 2 anni 1988-1990) dove si scoprì che non sapeva solamente stoppare a canestro, ma qualche volta poteva anche provare dalla lunga distamza (20 triple totali, 6 durante una sola partita).


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Al termine del 1990 passò ai 76ers dove la sua popolarità divenne molto alta nonostante le sue prestazioni non erano propriamente da tramandare ai posteri.

Rimase a Philadelphia per 3 anni, gli ultimi tranquilli sotto il punto di vista degli infortuni e gli ultimi anni veri come atleta NBA.

La stagione 1993-1994 fu a tutti gli effetti una stagione nefasta per Manute : cambiò ben 3 squadre (Miami, Washington e Philadelphia) collezionando solo 14 partite.

Le sue fragili ginocchia lo tormentavano in continuazione causa la sua corporatura abnorme e l’anno successivo tornò ai Warriors.

Purtroppo con il passare del tempo la situazione non migliorava affatto, anzi peggiorava causa forti artriti che lo costrinsero ad abbandonare la sua carriera da cestista americano dopo una breve esperienza con i Florida Beach Dogs.

In NBA chiuse con una media di 2.6 punti, 4.2 rimbalzi, 0.3 assist, 3.3 stoppate.

Mise a referto 1599 punti, 2647 rimbalzi e 2086 blocchi totali,comparendo in 624 partite, divise fra le 10 stagioni NBA disputate.

E’ ancora secondo per media-stoppate durante una stagione (5,8) e quattordicesimo assoluto per stoppate totali in carriera NBA (2086).

Ha il singolare primato nell’essere l’unico giocatore della storia NBA ad aver collezionato piu stoppate che punti durante la sua carriera (2086 stoppate, 1599 punti).

Ultima esperienza con il basket fu proprio in Italia, piu precisamente a Forlì: fu contattato da coach Massimo Mangano che lo volle in squadra. Il suo arrivo scatenò immediatamente l’entusiasmo della piazza che fu subito quietato dopo le 2 soli apparizioni fatte dall’atleta e il conseguente taglio da parte della società.

Fu cosi che Manute chiuse definitivamente con il basket e tornò in Sudan col portafogli bello pieno: 10 anni di attività in NBA piu tutti gli innumerevoli compensi pubblicitari.

Piccola digressione sul Sudan : la sua patria, sia allora sia oggi, è tutt’altro che tranquilla: persiste una sanguinosa guerra civile che ha mietuto la bellezza di circa 2 milioni di vittime.

Il paese è diviso tra una parte settentrionale di arabi musulmani e una meridionale di neri cristiani e di altre fedi locali varie, continuamente perseguitati. I musulmani al potere tollerano e sostengono le persecuzioni ­, i massacri, schiavismo, allontanamento dai villaggi nei confronti della gente del sud e sono combattuti da gruppi ribelli, tra cui quello a cui appartengono i Dinka.

Nel frattempo, per Manute, le cose non vanno tanto bene.

Alcune voci mai confermate sostengono che spese molti soldi per finanziare i guerriglieri della sua tribù.

Inoltre un paio di attività nelle quali l’ormai ex cestista aveva investito ingenti somme vanno in bancarotta e viene addirittura perseguitato perché aveva rifiutato di convertirsi all’Islam.

Economicamente aiutò sempre la sua nazione sostenendo molte cause per essa e visitando spesso i campi profughi sudanesi, dove veniva accolto come un re.

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Causa soldi che stavano finendo e tranquillità non alle stelle, decise di tornare negli States.

Ma il governo del suo paese glielo impedì non concedendogli il visto d’uscita.

Fu accusato inoltre di sostenere i ribelli cristiani Dinka e non ottenne il visto se non con l’aiuto dei suoi sostenitori americani tra cui il senatore del Connecticut Joseph Lieberman, che raccolse fondi per permettere a Bol di stabilirsi in Egitto.

Dopo 6 mesi di trattative con i funzionari del consolato degli Stati Uniti, ed ottenuto lo status di rifugiato , Bol e la sua famiglia erano finalmente in grado di lasciare l’Egitto(dove gestì una scuola di basket frequentata da un rifugiato sudanese suo amico di nome Loul Deng, attuale giocatore dei Cleveland Cavaliers) e tornare negli Stati Uniti.

Non dimenticò mai la sua patria, che continuò ad aiutare economicamente e nel sociale: si adoperò con una fondazione (Sudan Sunrise)per migliorare il livello di istruzione del Sudan e si mise a disposizione per diverse giornate di beneficenza con lo scopo di raccogliere fondi per l’Africa e per il suo Sudan.

Muore  a Charlottesvile, il 19/06/2010 a causa di un’insufficienza renale acuta conseguente alla sindrome di Stevens-Johnson, infezione contratta in Africa durante uno dei suoi viaggi umanitari.

Per noi tutti, amanti di questo sport, resterà lo stoppatore per eccellenza, che non aveva bisogno di saltare per togliere la palla dal canestro. Una persona umile, semplice, che in cuor suo aveva un solo obiettivo: avere un sogno per se e per la sua gente africana.

Sogno che si è avverato.

“If everyone in the world was a Manute Bol, it’s a world I’d want to live in. He’s smart. He reads The New York Times. He knows what’s going on in a lot of subjects. He’s not one of these just-basketball guys”

Gia, proprio cosi.

He is not one of these just-basketball guys.

“Sir” Charles Barkley sei Suns ha detto praticamente tutto.

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